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Tanti consulenti, pochi risk manager

Secondo una ricerca di Anra, in Italia il modello di Enterprise risk management non è ancora sviluppato

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Sempre più centrale, ma comunque ancora lontano dall’assumere uno spessore rilevante all’interno delle aziende. In Italia il risk management cresce, ma non abbastanza. E il nostro paese continua a scontare un certo ritardo rispetto agli altri stati europei, a cominciare dal fronte delle retribuzioni. Sono alcuni dei punti fondamentali dell’indagine curata da Anra e presentata oggi dal presidente Alessandro De Felice nella prima giornata del convegno annuale dell’associazione Imprevisto o probabilità? La carta del risk management.
L’indagine, condotta sui soci e integrata con i dati europei di Ferma, mostra un’Italia costretta a rincorrere i partner europei. Spicca in particolare il maggior ricorso a consulenti esterni, il più alto di tutto il Continente, giustificato in parte dalla grande diffusione di piccole e medie imprese che magari non possono permettersi un risk manager interno. Alla mancanza di figure predisposte si affianca poi lo scarso sviluppo di modelli di Enterprise risk management, diffuso in appena il 54% delle aziende italiane contro il 76% a livello europeo. Forbice ancora più ampia se si guarda poi all’integrazione del risk management nelle strategie aziendali: in questo caso, il divario che separa l’Italia dal resto d’Europa si attesta fra il 14% e il 74%.
La minaccia maggiormente percepita a livello europeo, secondo l’indagine, è quella del cyber risk (42%), seguita dalle incertezze relative a crescita economica (34%), eccesso normativo (33%) e fibrillazioni geopolitiche (31%).

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