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Il risarcimento che tutela le esigenze

Una sentenza della Corte d’Appello di Milano riafferma lo strumento della rendita vitalizia come forma di risarcimento del danno patrimoniale alternativa all’erogazione in un’unica soluzione

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La lesione del bene salute, conseguente a un atto illecito (un incidente stradale, un errore clinico, e così via) porta con sé (nei contesti più gravi) anche la seria compromissione, ad esempio, della capacità reddituale della vittima, oppure produce l’esigenza di una mole di costi per assistenza domiciliare e terapeutica a favore di chi (a causa della menomazione subita) non sia più in grado di svolgere autonomamente le proprie funzioni quotidiane.
È, quest’ultimo, il cosìddetto danno patrimoniale da spese di assistenza domiciliare future della vittima.
La difficoltà nella determinazione di questo danno sta nello stabilire quale importo dovrà spendere in vita futura e residua la vittima che non possa più lavorare, ovvero abbia bisogno di assistenza domiciliare molte ore al giorno per adempiere alle proprie funzioni esistenziali.
Essendo un danno proiettato verso il futuro, lo stesso genera un meccanismo di calcolo aleatorio e astratto (in quanto legato alla permanenza in vita ipotetica di un soggetto, e non a dati di conto concreti) che spesso, nella giurisprudenza prevalente, sfocia nella mera ipotesi, se non in arbitrio.

LA PRIMA DECISIONE INNOVATIVA
Il tribunale di Milano (in una nota sentenza del 27 gennaio 2015, giudice M. Flamini) riconobbe a una donna, vittima di un errore sanitario, e per ciò affetta da tetraparesi spastica, il risarcimento non solo del danno biologico e non patrimoniale per la menomazione subita, ma anche una rendita annuale di  145mila euro a compensare sia la perdita reddituale totale, sia il costo per l’assistenza continuativa domestica.
L’elemento che rese tale decisione innovativa, nel panorama di sentenze che trattano casi di risarcimenti di danno gravi (compromissione della integralità psicofisica della persona nella misura massima dell’80-100%) consistette proprio nel metodo di liquidazione del danno patrimoniale che la vittima dovrà subire nel futuro e per tutta la sua esistenza.
La prassi giurisprudenziale, infatti, in tutti questi casi (di accertata perdita patrimoniale futura delle vittime di sinistri gravissimi) tende a capitalizzare la somma anticipatamente e quindi a corrispondere alla vittima (o ai suoi tutori e curatori del patrimonio) una somma immediata a tacitazione di ogni danno ancora da concretizzarsi.
Questa prassi di conferire alla vittima un’immediata e ingente somma in rata unica, porta con sé benefici e svantaggi, e si traduce in quella che appare essere una mera scommessa in natura.
Se, infatti, la vittima vivrà il tempo idoneo a essere assistita e spesata con la somma versata in anticipo, nessun problema. Ma potrebbe accadere che la stessa sopravviva all’esaurimento del capitale anticipato, magari perché male amministrato negli anni, e che quindi non abbia più risorse per sostenersi.
Di contro, potrebbe accadere che la vittima deceda prima dell’esaurimento del capitale conferito e in questo caso saranno gli eredi a beneficiare di una immotivata eredità pari al capitare residuo non utilizzato.

SI CONFERMA LO STRUMENTO DELLA RENDITA VITALIZIA
Ecco perché la soluzione intrapresa dal tribunale di Milano apparve per un verso solutoria e per l’altro persino banale.
Fu positiva la volontà, ricercata dall’estensore della decisione, di rendere la liquidazione del danno meno aleatoria e astratta dalla concretezza del caso specifico, obbligando il responsabile dell’illecito a versare la somma necessaria al sostentamento della vittima ma solo per il tempo futuro della sua reale esistenza. (continua a pag. 3)
Per altro verso, la decisione apparve perfettamente in linea con la volontà del legislatore del Codice Civile che, all’art. 2057 prevede espressamente che “quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere effettuata dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia”.
La notizia di oggi è che tale decisione (soggetta a gravame) è stata confermata integralmente sul punto “rendita vitalizia” dalla Corte di Appello di Milano, nella sentenza depositata il 17 gennaio 2017 (Corte di Appello di Milano, sezione II, n. 165 Pres. Ruggiero, Est. Ferrari da Grado) con motivazione parimenti rilevante.
Ritiene, infatti, la Corte in proposito che “l’applicazione dell’istituto della rendita vitalizia, sia maggiormente aderente alla finalità propria del risarcimento della voce di danno in questione”, e che lo stesso “appare meglio aderire all’esigenza di liquidazione dell’effettivo danno nel suo concretizzarsi”.
Così la soluzione adottata appare (anche per i giudici di Appello) quella più idonea a risarcire tutti quei danni nei quali, come si legge nella decisione del tribunale, sia difficile stabilire l’entità futura del pregiudizio che subirà la vittima negli anni, “in ragione della difficoltà di individuare una durata della vita media dell’attrice”.
Le sentenze, che rompono quindi un fronte di consuetudine liquidativa, approdano a una decisione finale non solo meno aleatoria, ma più connessa alla reale materialità di un danno troppo spesso trascurato nel panorama giuridico della lesione del bene salute.

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