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Obbligo a contrarre: il Tar dà (ancora) torto all’Ivass

Con la sentenza 1944 del 27 gennaio scorso, il tribunale amministrativo del Lazio ha annullato la sanzione comminata dall’Autorità di vigilanza a una compagnia a fronte di una pretesa elusione dell’obbligo a contrarre nell’Rc auto. Secondo il giudice amministrativo, l’allora Isvap sarebbe incorsa in un vizio di motivazione e di istruttoria

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La disciplina dell’assicurazione obbligatoria della Rc auto ha assunto connotazioni del tutto peculiari, enfatizzando una vocazione sociale tendenzialmente mirata alla protezione dei danneggiati e giustificata dalla centralità delle implicazioni macroeconomiche proprie della circolazione veicolare nella moderna società industriale.

A sancire tale rilevanza si è posta l’introduzione di un duplice obbligo assicurativo, di fonte legislativa, posto a carico tanto dei singoli proprietari dei veicoli quanto delle compagnie assicurative. E in seno a questo doppio obbligo a contrarre, figura tipicamente italiana, hanno trovato (e trovano) terreno fertile numerose criticità e antinomie, prima ancora che giuridiche, logico/operative.

Non ci troviamo davanti a un contratto integralmente imposto nei contenuti e amministrato ex lege: la libertà d’azione, comunque riservata alle imprese della Rc auto, a tutela della libera concorrenza, lascia loro un ampio (anche se non illimitato) spazio di manovra nella costruzione dei prodotti e delle relative tariffe.

Del resto, l’assicuratore privato, per quanto investito di funzioni socialmente orientate, rimane pur sempre un soggetto governato da logiche d’impresa: non solo in considerazione dei propri interessi alla miglior redditività del business ma anche in funzione del necessario rispetto di quel cardinale principio di sana e prudente gestione (articolo 183 comma 1 lettera d del Codice delle assicurazioni), che costituisce presidio primo della sua solvibilità (e quindi garanzia indiretta dell’adempimento delle prestazioni dovute agli aventi diritto).

Di converso, la necessità di consentire all’utenza di accedere alle coperture assicurative, adempiendo così al proprio obbligo di assicurarsi, postula l’esistenza di un mercato che possa consentire a ciascuno di accedere a soluzioni di garanzia sostenibili in termini di prezzo. In questo senso va letta la sempre più spiccata attenzione riservata dal legislatore, in tempi recenti, a politiche di liberalizzazione del mercato, di personalizzazione e differenziazione delle offerte e di sviluppo di iniziative volte a consentire una riduzione dei costi dei sinistri e all’abbattimento delle tariffe.

I confini labili dell’attività sanzionatoria

In tale contesto sorge spontanea, da anni e senza mai che vi sia data una convincente risposta, la medesima domanda: come stabilire qual è il giusto prezzo di una polizza Rca? Problema quanto mai urgente, specie in considerazione della peculiare incidenza di una sinistrosità non sempre genuina, almeno in alcuni contesti territoriali.

La difficoltà di far collimare il principio della libertà tariffaria con l’obbligo di assicurare ha indotto il legislatore a introdurre una fattispecie sanzionatoria (quella relativa all’elusione dell’obbligo: articolo 314 del Cap) dai confini assai labili e a tutt’oggi difficilmente definibili. Era, e rimane, arduo comprendere quale sia il limite oltre il quale una determinata tariffa di polizza possa esser considerata non soltanto scorretta, in quanto calcolata in violazione dei criteri tecnici di cui all’articolo 35 del Cap, ma addirittura elusiva, in quanto indirettamente tesa a respingere categorie indesiderate di utenti.

L’utilizzo del prezzo per selezionare la clientela, e per scoraggiare segmenti di potenziali assicurati particolarmente sgraditi, costituisce, in effetti, uno strumento facilmente sfruttabile da parte delle aziende, data l’assoluta nebulosità delle regole che dovrebbero disciplinare la costruzione della tariffa.

Certo, in un regime di tariffe amministrate dalla mano pubblica (come era quello precedente alla riforma del 1995) l’obbligo a contrarre si sarebbe potuto modulare in termini tanto assoluti e fermi da dar vita a un’incondizionata e generale parità di trattamento di ogni potenziale assicurato: o almeno da imporre a ciascuna compagnia l’obbligo di mutualizzare i rischi in modo sufficientemente ampio da spalmare le punte delle sinistrosità su platee non circoscritte e, al contrario, tanto diffuse da consentire l’applicazione trasversale di premi di riferimento sostenibili da tutti.

Ma nell’attuale situazione di mercato, in cui i premi della Rc auto sfuggono a regole di costruzione veramente stringenti, la comprensione del limite al di là del quale una tariffa diventa elusiva costituisce un esercizio di enorme difficoltà, quando non addirittura vano. Si pensi, per esempio, alla flessibilità tariffaria di cui all’articolo 7 del regolamento 23; alle previsioni dell’allegato 2 al regolamento 16, nonché alla modularità dei parametri tecnici descritti dall’articolo 35 del Cap.

La prova della difficoltà di determinare il limite oltre il quale una tariffa diventa elusiva è costituita dalla sentenza in commento, con la quale il Tar del Lazio ha affrontato il delicato caso delle sanzioni milionarie comminate dall’allora Isvap a buona parte delle compagnie, in quanto ritenute colpevoli proprio di una pretesa elusione dell’obbligo a contrarre, realizzata attraverso l’uso trasversale della leva tariffaria. Ricordiamo, al riguardo, come tale infrazione, disciplinata dall’articolo 314 comma 2 del Cap, sia punita, ove attuata con riferimento a determinate zone territoriali o a singole categorie di assicurati, con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro un milione a euro cinque milioni.

Nel caso di specie, il Tar adito ha vagliato la legittimità di un’ordinanza tramite cui l’allora Isvap aveva irrogato, a carico di una primaria impresa di assicurazione, una sanzione pari a un milione di euro, ritenendo sussistente “un’ipotesi di elusione dell’articolo 132 […Cap] realizzata con la previsione di premi significativamente elevati e non giustificati con riferimento ad alcune categorie di assicurati per determinate zone territoriali […] in relazione alla tariffa del ramo Rc auto […] settore I, profilo 1 (diciottenne di sesso maschile, assicurato per la prima volta, bonus malus, massimale minimo di legge, automobile 1300 cc benzina, in classe di ingresso)”. 

Difficile dimostrare l'elusione

All’esito di un procedimento protrattosi forse un po’ troppo, il giudice amministrativo si è dimostrato di contrario avviso, avendo ritenuto insussistente la violazione e avendo addirittura rilevato la difficoltà di identificare in concreto le stesse coordinate della condotta che l’Autorità di vigilanza assumeva esser stata violata.

Per dirla in altri termini, il Tar, senza ricorrere a particolari parafrasi, ha osservato che la fattispecie elusiva finisce, allo stato attuale della normativa, per costituire una sorta di petizione di principio, molto difficilmente dimostrabile nei fatti (se non in casi davvero abnormi ed eclatanti).
In questo senso la sentenza:

A.    ha rilevato, in via di premessa, come “la Corte di giustizia dell’Unione Europea […] con sentenza 28 aprile 2009 in causa C-518/06, ha precisato che l’obbligo di contrarre non impedisce alle imprese di assicurazione di calcolare una tariffa più elevata per un contraente residente in una zona caratterizzata da un numero rilevante di sinistri rispetto ad un contraente residente in una zona a rischio meno elevato”; e, quindi
B.    ha valorizzato come “l’evento elusione indicato dal legislatore risulta vago e suscettibile di valutazioni soggettive […] mentre, tenuto conto dei delicatissimi interessi pubblici e privati coinvolti […] sarebbe opportuna una normazione attuativa che indichi i criteri in base ai quali individuare, con la maggiore obiettività possibile, cosa debba intendersi per tariffa significativamente elevata”;
C.    ha infine sottolineato proprio come “l’assenza di parametri oggettivi di riferimento […] pone in capo all’Autorità di vigilanza del settore un onere istruttorio e motivazionale particolarmente ampio e complesso”.

Muovendo da tali presupposti, il Tar ha dunque ritenuto illegittima per vizio di motivazione, e perciò annullato la sanzione, osservando come la stessa sia stata irrogata sulla scorta di una apodittica affermazione della “abnormità delle tariffe e della loro incoerenza con le basi tecniche di riferimento, senza aver mai effettuato […] una valutazione concreta dell’entità degli effetti distorsivi […] derivati dagli errori metodologici e/o di scelta dell[e] variabili di personalizzazione”.

Una condotta disinvolta

La pronuncia finisce pertanto per costituire una severa critica all’approccio con cui l’Isvap ritenne di dover affrontare il problema, ponendo in essere una campagna sanzionatoria che, probabilmente pregna di intenzioni dimostrative e correttive forse apprezzabile sul piano degli scopi, era stata condotta con troppa disinvoltura, specie avuto riguardo del carico niente affatto trascurabile degli importi ingiunti.

In realtà, la sentenza del tribunale amministrativo punge l’intero attuale assetto legislativo di riferimento, certamente, elevando un monito affinché il sistema trovi coordinate normative e regolamentari più coerenti e comunque meno labili, tanto più in un sistema assicurativo di primaria importanza sociale.

In questo senso, e volgendo lo sguardo a un futuro prossimo, attendiamo di comprendere cosa, in concreto, finirà per statuire il nuovo ddl Concorrenza, che sembra tendere a una rivisitazione delle regole tariffarie, specie per il caso di trasferimento dell’assicurato da una compagnia ad un’altra.

L’impressione è che, ancora una volta, il tema sia affrontato in modo parziale e disarmonico, senza arrivare al cuore del problema; ma è ancora troppo presto, specie a fronte della mutevolezza degli scenari parlamentari, per spendere opinioni serie al riguardo.











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