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Il mercato creditizio in balia delle onde

Venerdì 13 gennaio scorso, il voto della società di rating canadese Dbrs, peraltro atteso, ha tolto alla nostra nazione quell'ultima A. Fiato ancora più corto per gli istituti di credito nazionali, nonché grande cautela per la Borsa.
Tutte le agenzie di rating ci avevano già declassato a BBB, compresa Standard & Poor’s che dal 2015 auspicava, grazie al Governo Renzi, una risalita per l’Italia.
Cercare le cause non è semplice. Colpa anche della caduta del Governo Renzi, che ha bloccato così la speranza delle riforme, portando a un ulteriore ribasso la credibilità del nostro Paese? Questo scenario, che l’Italia sta percorrendo a ritroso, mette in seria difficoltà il valore estrinseco delle ipotetiche garanzie: quando le banche andranno dalla Bce a chiedere liquidità, daranno come contro garanzia solo i Btp. Poi c’è anche la dinamica dei tassi che tentano, con grandi difficoltà, di allungare il passo verso un possibile rialzo: il che equivarrebbe a maggiori utili per le banche e un aiuto per la loro normale attività: fornire prestiti.
Colpa della crisi che attanaglia la nazione ormai da anni, del debito pubblico sempre più elevato, della disoccupazione che continua a crescere, portando la nostra gioventù a cercare migliori lidi, del Pil che vola basso, basso?
Come possiamo constatare, questa realtà che è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere: e quindi si comprende abbastanza chiaramente la continua competizione tra banche e compagnie di assicurazione.

Questo scaturisce anche da diversi fattori, primo fra tutti una concorrenza non corretta e per molti versi criticabile che nasce (e muore) dall’intreccio (oserei dire quasi incestuoso) dei mandati agenziali o di collaborazione che le stesse imprese conferiscono agli sportelli bancari. Una sorta di cane che si morde la coda.
Certamente manca la trasparenza (e non è poco), e i potenziali assicurati non comprendono le vere differenze tra un acquisto in banca, in Posta o con il tramite dell’intermediario di fiducia.
Le imprese assicurative hanno una regolamentazione molto rigida delle banche sui conflitti d’interesse. Le ultime disavventure degli istituti di credito nostrani, tra i quali la più vecchia banca del mondo, Mps, sono note.
La cosiddetta concorrenza, oggi, per fortuna, incomincia a giocarsi anche sulla fiducia e non solo sul prezzo del contratto: gli italiani, ad esempio, devono scegliere dove mettere quei pochi risparmi che riescono a porre da parte. Un risparmio gestito, come un premio unico vita, o qualsivoglia altro prodotto adeguato alle necessità dell’utente, è e resta di proprietà del risparmiatore: è meno rischioso e garantito da oltre duecento anni di storia dell’assicurazione.
La crisi del 2008, la vendita fatta a tavolino di prodotti finanziari già marci, (derivati) con la connivenza di chi ben sapeva e i mutui subprime: tutto ciò ha messo in ginocchio la finanza di mezzo mondo, con una ricaduta a domino di non poco conto su molti settori. Solo grazie al sistema di rigido controllo italiano, ben collaudato, questi drammi hanno solo sfiorato il settore assicurativo italiano, senza apportare disastri irreversibili.
A tutto ciò vanno aggiunte le regole stabilite dal bail in: ove la propria banca vacillasse in solidità, i correntisti titolari di un conto corrente, sul quale giacciono risparmi superiori a  100 mila euro,  saranno obbligati a intervenire nel salvataggio della banca prescelta, al fine di sanare la  mala gestio del management… Ogni commento è superfluo.
Per molte banche, ma anche per qualche impresa assicurativa, sarebbe forse necessario non solo trasformare processi e sistemi informativi ma anche dotarsi di nuovi progetti di business. Non sarà facile, ne sono cosciente, ma da qualche parte bisognerà pur iniziare.
Poi bisogna modificare le regole e le leggi per coloro che hanno coscientemente creato voragini di debiti per milioni di euro, truffando milioni di piccoli risparmiatori. Le leggi ci sarebbero anche... o no? Si prosegue in un sistema malato e non si vede la fine del tunnel. Se alcuni istituti di credito, invece che prosciugare le casse dello Stato con nuovi interventi salvifici pro domo loro, peraltro pagati dalla collettività, avessero concesso anche prestiti modesti ai piccoli imprenditori, artigiani o commercianti, questi sarebbero ancora in attività e, ne sono sicura, avrebbero diligentemente onorato la loro firma. Negli ultimi cinque anni hanno portato i libri in tribunale 53 aziende al giorno.

I Governi che si sono succeduti negli ultimi quindici anni non hanno mai preso in seria considerazione il quarto pilastro, che tanto gioverebbe al nostro welfare. Andrebbero presi in considerazione anche i gap pensionistici, non solo in Italia, ma a livello mondiale. Per gap intendo la possibile differenza tra il reddito utile in vecchiaia, per mantenere una tenore di vita adeguato al passato, e il valore che può dare, in età avanzata, il risparmio previdenziale (privato o pubblico che sia). Incidono certamente i valori demografici, la vita che si è di molto allungata.
Quindi le scelte di questo fragile Stato, che sta navigando a vista in un mare forza dieci, dovrebbero essere quelle di supportare fortemente lo sviluppo ulteriore di questo ramo previdenziale, apportando, ad esempio, sgravi fiscali seri, che aiuterebbero maggiormente il settore a spiccare il volo e arrivare a livello europeo.
Per quanto concerne le imprese, esse dovrebbero fornire al mercato prodotti migliori, clausole chiare, trasparenza. Controlli seri, anzi serissimi, dallo stesso istituto di vigilanza su banche e Poste, che come tutti gli intermediari italiani, anch’esse avrebbero il dovere di fornire contratti comprensibili, venduti da personale competente e responsabile.
Resta l’auspicio che con Solvency II, Eiopa possa ottenere un ruolo di controllo sempre più stringente per tutti coloro che producono e  vendono assicurazioni, fermo e impregiudicato, un ulteriore controllo delle Autorità di vigilanza nazionali.

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