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Il welfare ai tempi del TTIP

Lo scorso 15 luglio si è conclusa la quattordicesima sessione di negoziazione del TTIP, l’accordo di libero scambio tra USA e UE che ha finora suscitato numerose perplessità in Europa e che potrebbe ulteriormente indebolire la già precaria legittimazione politica delle istituzioni comunitarie.

I detrattori dell’accordo paventano il rischio che il trattato, imponendo agli stati membri di accogliere indiscriminatamente anche prodotti non rispondenti agli elevati standard qualitativi di matrice europea, finisca col vulnerare il principio di precauzione, ovvero quel principio cardine dell’ordinamento comunitario che consente di vietare la circolazione di un prodotto pericoloso per la salute anche in assenza di certezze scientifiche circa la sua nocività. Ed infatti, nel testo contenente le direttive conferite dal Consiglio dell’Unione Europea ai propri delegati per la negoziazione TTIP, ben può leggersi come il fine dell’accordo sia il superamento tanto delle barriere tariffarie (i dazi doganali) quanto di quelle c.d. non tariffarie (quali, appunto, le limitazioni normative e regolamentari alla circolazione di beni e servizi).

Invero, il documento fa salve le prerogative comunitarie in materia di tutela della salute e dell’ambiente, ma tale riserva, per quanto espressa, risulta piuttosto generica e, in quanto tale, parrebbe lasciare un margine più o meno ampio di manovra ai negoziatori europei nella ricerca di un compromesso tra i principi ordinatori dell’ordinamento comunitario e le istanze ultraliberiste di scuola americana.
Pertanto, nonostante le rassicurazioni delle istituzioni continentali sul punto (rassicurazioni anch’esse, invero, molto generiche), la possibilità che il testo definitivo dell’accordo possa comportare quantomeno un arretramento delle tutele oggi previste dall’ordinamento comunitario non appare poi così remota.

Ora, una possibile rinuncia (anche solo parziale) al principio di precauzione non pare adeguata rispetto ad una concezione evoluta di welfare che reclama non solo la disponibilità di strumenti di sostegno e assistenza ex post ogni qual volta il bene salute venga colpito ma anche, se non soprattutto, l’attuazione di misure di prevenzione dei rischi, siano essi verificabili o meno in termini di “certezza scientifica”. E ciò specialmente ove si tratti di pregiudizi non patrimoniali, a fronte dei quali gli strumenti assicurativi tradizionali (pubblici o privati) possono al limite offrire un mero ristoro economico per equivalente e non anche una riparazione in natura.

In conclusione, il TTIP pone l’Europa di fronte alla scelta di sacrificare – in nome del libero mercato – una tradizione politica e giuridica che pone al centro la protezione reale della persona. E ciò quand’anche col TTIP venisse liberalizzata - come da alcuni operatori auspicato - la circolazione dei servizi assicurativi nell’area transatlantica (ciò che potrebbe favorire la concorrenza e, dunque, una maggiore e migliore offerta di strumenti di welfare integrato).

Salvo ritenere che la salute sia fungibile al pari di qualsiasi altro bene di mercato...


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