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Non nascondiamoci dal grande occhio dei Big Data

Ogni volta che entriamo in un’agenzia di assicurazioni, per comprare qualsiasi tipo di polizza, veniamo sottoposti a questionari più o meno ampi per capire le nostre abitudini, la nostra propensione al rischio, la nostra sinistrosità. Generalmente chi acquista una polizza auto è legato a una classe di rischio, che cambia in base ai suoi comportamenti e a quanto succede sulle quattro ruote.

Negli ultimi anni, strumenti come la scatola nera hanno cambiato il modo in cui le compagnie si pongono nei confronti dei clienti. Che, monitorati ogni volta che si mettono al volante, possono accorgersi dei vantaggi a cui la tecnologia ci ha portati, soprattutto in termini di riduzione dei premi. Questo è solo uno dei tanti esempi che possiamo portare sul piatto della bilancia, ma in mercati come quelli inglese o americano alcune aziende stanno già sperimentando un utilizzo massiccio dell’analisi dei clienti: i supermercati che distribuiscono polizze possono studiare le abitudini alimentari degli acquirenti per valutare il grado di rischio; le compagnie dotano i loro assicurati di braccialetti per monitorare se svolgono attività fisica e di conseguenza godono di buona salute; addirittura la domotica permette di far capire agli assicuratori se le abitazioni coperte dalla polizze sono mantenute alla giusta temperatura per prevenire danni alle tubature.

Senza guardare troppo lontano, ma rimanendo in casa nostra, è importante sottolineare come Generali faccia largo uso delle cosiddette polizze telematiche, soprattutto per contrastare le frodi e incentivare gli assicurati verso comportamenti virtuosi. Un ruolo importante per la compagnia italiana, che è tra le prime in Europa (dove nel 2014 sono state vendute più di 4 milioni di polizze 2.0) a puntare in maniera così decisa su questa nuova via di profilazione dei clienti.

In termini concreti, quindi, quali sono i vantaggi per compagnie e clienti? Le prime sono in grado di colmare il gap di informazioni che le scienze attuariali non riescono a fornire. I secondi, invece, sono finalmente in grado di influenzare le tariffe applicate dalle compagnie secondo i loro comportamenti e non sono più “schiavi” di statistiche legate a “gruppi” più o meno omogenei di assicurati “tipo”.

Grandi passi in avanti, sicuramente. Che si scontrano però, in molte occasioni, con la dura realtà. Realtà che vede dei costi ingenti per le compagnie che stanno adottando queste tecnologie. E realtà che vede alcune classi di clienti fortemente penalizzate dall’avvento dei Big Data. Se da un lato, infatti, ci sono sconti e vantaggi economici per alcuni, dall’altro il mercato rischia di diventare potenzialmente privo di offerte per altri. Basta pensare al caso inglese delle polizze contro le alluvioni, che per alcuni assicurati stanno diventando un onere impossibile da affrontare. Questo perché, oltre alle statistiche, per calcolare i premi, vengono applicati modelli predittivi, mappe interattive, studi matematici sul clima.

La tecnologia, quindi, si va a scontrare in questi casi con il principio mutualistico, cardine e perno del sistema assicurativo moderno. Non ci si deve però preoccupare, perché i Big Data possono aiutare a comprendere meglio la realtà. E sono certo che lo faranno fino a che ci sarà un vantaggio tangibile su più fronti, senza toccare quegli equilibri che da sempre stanno alla base dell’assicurazione e senza i quali grandi realtà come Generali e i Lloyd’s (che stanno puntando molto su certe infrastrutture) non sarebbero vissute così a lungo.


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